La Stampa del 6 novembre 2020 ha dedicato una intera pagina a un articolo della giornalista Miriam Massone a "Cucine Solidali". L'articolo, ripreso qui di seguito, spiega le motivazioni di solidarietà che animano il progetto, dando la parola al coordinatore Andrea Chiuni e a alcuni degli chef che producono i pasti.



I ristoranti chiudono ma le le «Cucine Solidali» no: 19 chef, stellati inclusi, continueranno a preparare piatti di pasta e arrosti, anche oggi, nel primo giorno di lockdown totale. Dietro le saracinesche abbassate, le «brigate» lavoreranno come sempre, ma per i più poveri, per gli ospiti dei Frati Minori e gli homeless della Comunità di Sant’Egidio e per chi cerca un riparo, in questo preludio d’inverno, negli asili notturni del Centro torinese di solidarietà.

Il progetto, nato in primavera durante la prima serrata, è diventato ora un vero movimento, spontaneo e destinato a crescere: «Non ci siamo mai fermati, anche quando abbiamo riaperto e anche nell’estate, quando avevamo i ristoranti pieni: da allora abbiamo distribuito 35 mila pasti» , dice Andrea Chiuni , executive chef dei Tre Galli, delle Tre Galline e del Carlina e coordinatore delle Cucine Solidali. Con lui ci sono gli stellati Carignano, Condividere, Spazio 7, Del Cambio, e poi La Limonaia, Fuzion, l’Accademia Food Lab, i Dù Cesari, Eataly, Era Goffi, Magazzino 52, Opera, San Giors, Vale un Perù, Gaudenzio e Vimini: «Le adesioni e la collaborazione spontanea hanno ripagato l’inevitabile sforzo organizzativo». È un lavoro supplementare, che va organizzato: si fanno turni e si cucinano, in completa autogestione, per lo più pastasciutta, o piatti unici ma sempre piuttosto proteici, con uova, legumi, carne, pensati apposta per chi vive all’addiaccio o in condizioni precarie. «In questi mesi abbiamo preparato pasta al forno in svariati modi e insalate di riso: piatti meno gourmet di quelli proposti al ristorante, ma sicuramente di sostanza» dice Lorenzo Careggio di Era Goffi, tuttora impegnato a sfornare per il progetto: ieri, ad esempio, da qui sono partite «100 porzioni di pasta al forno con scamorza, sugo di pomodoro e besciamella e continueremo». Per la consegna, ci pensano la Croce Verde o i taxi solidali, a disposizione gratuitamente.

Con questo secondo lockdown la macchina è in moto e già rodata, pronta a distribuire circa cento pasti al giorno per i Frati Minori, altrettanti agli asili notturni e quasi 300 alla comunità di Sant’Egidio: «Non è facile, ma nemmeno impossibile - aggiunge Chiuni - specie quando penso a quello che riescono a fare i volontari di queste comunità con dei semplici e piccoli fornelli casalinghi».

L’impegno dei ristoranti è lo stesso per tutti, non ci sono protagonismi né distinzioni per categorie: chi può fa. «L’abbiamo quasi tenuto nascosto, forse perché nessuno voleva prendersi alcun merito. Infondo non facciamo nulla di speciale. Solo del bene. Non c’è da urlarlo al mondo, ma da rimboccarsi le maniche e iniziare a spadellare» conferma Stefano Sforza, chef di Opera , al fianco dei Frati Minori: «Certi giorni la fila di gente in attesa di un piatto davanti al loro convento era così lunga che arrivava fino alla porta del nostro ristorante: prima della pandemia non era così». Ad accomunare tutti i cuochi, un desiderio: «Vorremmo che le Cucine Solidali diventassero un modello esportabile, Torino è pronta a far da capofila».

Il manifesto c’è già ed è firmato da Davide Dutto: «La scorsa primavera l’idea era quella di fotografare i ristoratori mentre preparavano i piatti per il progetto, ma poi l’abbiamo scartata, non volevamo questo tipo di focus. Così abbiamo pensato a metterci la faccia, mascherati ovviamente, per lasciare che parlassero gli occhi». E dentro ci sono finiti tutti: «Non solo i ristoratori, ma anche i destinatari dei pasti». Chi aiuta e chi è aiutato, insieme: «Come fosse un solo e unico grande volto» , il volto della solidarietà.